Mostra artistica "Magical Boy" di Bernardo Avendaño
Un ragazzino efebico, poco vestito, calato in un universo fantastico, si destreggia con la sua
spada tra creature magiche e ambienti ostili. Espressioni del volto a volte curiose, a volte
sbigottite, a volte spaurite, a volte semplicemente neutre.
Ma chi è MAGICAL BOY veramente? Siamo tutti noi, o ciò che dovremmo essere, eroi
inetti, con spade in legno spuntate. Tuttavia, nel momento in cui accettiamo le nostre debolezze e
fragilità, smettiamo di essere inermi di fronte al mondo e ci immergiamo nel combattimento, forti
delle nostre nudità.
Non esiste un MAGICAL BOY, ne esistono centinaia. Sono tutti soli, individui che agiscono
e vivono isolati in una società popolata da un grande Altro e dalle sue propaggini senza rendersi
conto di far parte de una moltitudine. Vivono lo straniamento dell’ingenuo, candidi e non ancora
consci delle proprie virtù, e della propria bellezza. Di qui la scelta della nudità: questi giovani
uomini non hanno ancora affrontato la svolta paurosa della sessualità e dell’erotismo, agiscono
nell’eta a cavallo tra la creazione e l’azione sul mondo. Un’azione che come quella del bambino è
magica, onnipotente, libera della consapevolezza dell’esistenza del limite, convinta di plasmare il
mondo e la materia con il proprio gesto.
Il mondo in cui agisce il eroe è primitivo, selvaggio, rigoglioso della natura ipertrofica
dell’Eden, popolato anch’esso di figure intrise di simbolismo: maiali corrotti, che offrono vizi e
tentazioni come occasioni esperienziali di crescita, senza giudizi morali; creature mitiche della
terra come i ru, esseri indefiniti come materia che ancora non ha forma; spiriti che popolano lo
spazio come sentimenti paure, pensieri; macchine robot che strizzano l’occhio alla fantascienza
degli anni Sessanta, metafore di una società dove tutto è perfettamente funzionale e funzionante,
a patto che si escludano i sentimenti.
Il background artistico e l’estetica MAGICAL BOY ammiccano alla pop-art, al lowbrow,
risentono della influenza del manga e dell’anime giapponese ma al contempo sono intrisi di
naivete e delle tinte contrastanti e brillanti del Novecento sudamericano. Il colore è piatto come
l’acrilico, ma la tempera è preparata artigianalmente con uova e pigmenti naturali. La produzione,
non esclusivamente figurativa, investe il gadget in quanto scelta consapevole dell’oggetto di
consumo come occasione per fare arte. Quadri, ma anche felpe e magliette, tavole di fumetto,
tappeti, tazze: pretesti per calare una mitologia simbolistica all’interno della vita quotidiana.